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Riportiamo l'articolo pubblicato da don Giovanni all'interno del bollettino parrocchiale "La Voce" della parrocchia di Camposampiero.
Con queste righe, vorrei offrire qualche considerazione (tra le tantissime che si potrebbero fare) su un tema molto bello, ma nello stesso tempo vasto e articolato, qual è la relazione che i giovani stanno vivendo con le nostre comunità e la fede cristiana.
Siamo consapevoli di abitare un periodo storico molto complesso, difficile da decifrare, pensiamo ad esempio alle tante dinamiche in atto a livello globale e intra-ecclesiale.
Nella nostra Collaborazione pastorale abbiamo una bella ricchezza di esperienze formative, possiamo disporre di un volontariato che regge, pur con le inevitabili fatiche di oggi. Abbiamo la provvidenziale presenza delle associazioni educative, in particolare AC e SCOUT-AGESCI, che garantiscono un’azione educativa e aggregativa molto importante per i ragazzi e giovani che le frequentano. Esse rappresentano un’occasione preziosa di formazione, di ritrovo, di divertimento: è bello vedere la dedizione che gli educatori e i capi scout continuano a mettere nel loro servizio!
Superfluo ricordare però, che la maggioranza dei giovani è da tempo assenti dalle celebrazioni domenicali e dalla vita parrocchiale, come in tutte le parrocchie, del resto: ed è pensando a loro che ci domandiamo come poterli raggiungere.
Possiamo considerare, molto sinteticamente, che la pandemia, la guerra in Ucraina, la temperie culturale attuale, segnata da un marcato relativismo e individualismo, come pure dalla secolarizzazione, stanno incidendo e da tempo, sui nostri giovani, sulla loro mentalità, sul loro stile di vita e sulla visione che hanno delle nostre parrocchie, di noi pastori e della Chiesa nella sua totalità. Sempre meno, nelle loro scelte di vita e nel loro approccio al cammino di fede, fanno riferimento agli insegnamenti della Chiesa e al messaggio cristiano (ad esempio sui temi morali). Assistiamo anche a una sostanziale frattura tra l’esperienza di fede personale (ridotta al “mi sento”, che diviene un dato incontestabile) e l’esperienza di fede celebrata e comunitaria (bollata come un ritualismo difficile da vivere). Pure il mondo digitale e dei social, in cui i giovani sono nati, influenza non poco la visione che i giovani hanno di se stessi e il loro modo comunicare con gli altri, con tutto ciò che ne consegue.
Nello stesso tempo però, avverto nei giovani che conosco anche una grande fame di relazioni credibili e stabili, su cui poter fare affidamento. Avverto il desiderio di risposte solide e fondate alle domande del cuore e di quel mondo interiore che faticano ad abitare e a conoscere. Avverto il desiderio vivo di senso e di comunità e che ci chiedono di essere convincenti e gioiosi in quello che proponiamo a loro.
Se considero anche altri elementi come le prospettive sociali che ci attendono, il vertiginoso calo del numero di sacerdoti, il cambiamento in atto nella prassi ecclesiale delle nostre comunità, mi domando quali possono essere le vie per rimettere con forza Gesù Cristo al centro di tutta l’azione pastorale. Perché è questa la preoccupazione principale che dovrebbe animarci concordemente tutti, educatori, capi scout e preti, volontari e parrocchiani, pur nella diversità dei servizi che svolgiamo. Farei riferimento alle scelte e allo stile ecclesiale che gli Atti degli Apostoli ci consegnano e all’esperienza della Chiesa in questi 2000 anni di vita, con la consapevolezza che noi “vasi di creta”, abbiamo un tesoro di infinita bellezza e valore, da comunicare!
Infatti, è la comunità cristiana nel suo insieme, a essere chiamata a dare una testimonianza fiduciosa di vita cristiana mediante un modo di relazionarsi veramente evangelico. Ci vorrà più coraggio nell’offrire ai giovani che lo desiderano per davvero, al di là dell’appartenenza associativa, occasioni e modi per coltivare la fede e aprirsi alla relazione personale con Gesù Cristo. Una fede, che non può che nascere e svilupparsi a partire dal contatto personale con la Parola di Dio, troppo poco conosciuta, letta e meditata.
Volentieri mi dedicherei ad accompagnare i giovani che desiderassero a conoscere, scrutare e approfondire le Scritture. In fin dei conti, è questo che il Vangelo e papa Francesco chiedono: una vita di fede, una relazione con il Signore fondata sulla Parola, nutrita dall’Eucarestia, coltivata in una comunità di fratelli che “si amano come Lui ci ha amati” e che diviene così un luogo veramente desiderabile per tutti gli uomini. Sarebbe bello offrire, sempre a coloro che ci stanno, occasioni per raccontarsi la fede e aiutarli a rendersi conto che la Chiesa è molto grande e giovane di quanto pensano, che è veramente ricca di carismi e di esperienze (a partire dalle parrocchie accanto). Manca infatti quello sguardo concreto e realista sulla “Chiesa della porta accanto” che è la bellissima comunità parrocchiale, fatta di volti concreti, di gioie e di fatiche, di persone che anche oggi continuano con fiducia a camminare insieme sulla via del Vangelo.
Nell’Evangelii Gaudium, documento per me fondamentale per il cammino della Chiesa di oggi e di domani, al numero 264, papa Francesco scrive:
264. La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lasciando che Lui ci contempli, riconosciamo questo sguardo d’amore che scoprì Natanaele il giorno in cui Gesù si fece presente e gli disse: «Io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48).
Forse, dovremmo recuperare tutti, la consapevolezza che annunciare il Vangelo e comunicare ai giovani di oggi la risurrezione di Gesù è il più bel servizio che possiamo rendere a loro, per liberare la loro libertà, perché “abbiano in se stessi la pienezza della gioia di Gesù”.
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